Il problem solving viene spesso confuso con il pensare alle soluzioni o con il pensiero positivo.
Nel suo continuo mutare ed evolversi, il problem solving ha da sempre avuto tra le sue regole anche il non rispetto delle regole: il non ordinario diventa l’ordinario. Ad esempio, nelle arti marziali si studiano e si allenano i colpi, ma anche i non-colpi (che molti chiamano “finte”).
Cos’è quindi il problem solving di cui tanto si parla?
Diversamente dal moderno pensiero positivo e dalla recente psicologia positiva, il problem solving è riuscito a valorizzare anche il pensare negativo, senza opporvisi e senza contrastarlo.
L’obiettivo è essenzialmente quello di attivare la consapevolezza in merito alle soluzioni che non possono in alcun modo avere successo; la tecnica è finalizzata a suscitare una sorta di avversione verso le possibili azioni fallimentari e nello stesso tempo a creare una leva motivazionale forte e produttiva.
Così, come nelle migliori arti marziali si impara a sfruttare l’energia dell’avversario a proprio vantaggio, nel problem solving avanzato si è sviluppata la capacità si sfruttare l’energia del pensare negativo. Ad esempio, dire a qualcuno che pensa negativo, di smetterla e di iniziare a pensare positivo, molto spesso non sortisce effetto e in alcuni casi l’altro pensa ancora più in negativo per il semplice fatto che gli è stato fatto notare.
Il problem solving e il pensiero positivo
Allo stesso tempo il problem solving si è reso conto che il solo pensare positivo non sempre sortisce effetti e che spesso ha due controindicazioni: 1 – a volte la persona, pur pensando positivo, in particolare credendo (o dicendosi di credere) nella possibilità di risolvere, nella pratica non trova comunque una soluzione efficace e definitiva; 2 – a volte (per non dire spesso), il semplice (per non dire semplicistico) pensare positivo, alimenta le illusioni di risoluzione, alimentando al tempo stesso inevitabili delusioni. Con il suo orientamento pragmatico, il problem solving ci dice che il pensiero positivo non è garanzia di risoluzione. Con la suddivisione del pensiero in negativo e positivo si crea un “buono” e un “cattivo” che forse non esistono e che però diventano realtà nel conflitto che si genera e che spesso non porta a risolvere molto.
Il problem solving e il pensiero strategico
Da queste osservazioni pragmatiche, nasce il concetto di pensiero strategico, che va oltre la semplice e semplicistica suddivisione in negativo e positivo. Anzi, il pensiero strategico si sottrae alle logiche di separazione tra pensiero negativo e positivo per unirle e “vincere senza combattere”.
Il pensiero strategico non demonizza il pensare negativo e non celebra il pensiero positivo, ma pone attenzione al fatto che a volte il pensiero, sia esso positivo o negativo, può diventare una gabbia che blocca l’espressione della performance desiderata. Nel pensiero strategico, il pensare in negativo è estremamente utile in fase di analisi e prevenzione dei rischi: l’uomo è sopravvissuto anche grazie alla sua capacità di prevedere e prevenire rischi e pericoli, proprio immaginando e pensando al peggio. Se l’Homo Sapiens avesse sviluppato solo il pensiero positivo, troppe volte sarebbe uscito dalla caverna senza la lancia, o da solo, per poi non farvi ritorno.
Pensare al peggio può diventare uno strumento molto utile e pratico, se impariamo a sfruttarne l’energia a nostro vantaggio e a vantaggio dei nostri progetti. Da qui nasce l’approccio del problem solving, che da troppi invece viene trascurato in nome della positività.
Nell’ essere strategici, invece, saper sfruttare le onde del pensiero negativo diventa un’arte e un modo per utilizzare anche ciò che apparentemente potrebbe sembrare un ostacolo o, addirittura, un nemico attivo.
Quando nel Coaching, ad esempio, un coachee è nella gabbia del pensiero eccessivamente positivo, il farlo giocare a pensare negativo può diventare strumento di sblocco, che per effetto “molla” lo aiuta ad uscire dalla sua trappola.
Così come quando qualcuno pensa troppo in negativo, sfruttare l’onda stessa del proprio pensiero negativo, può aiutarlo, per effetto paradosso, a sbloccarsi e a valorizzare al massimo questa sua tendenza di pensiero.
Questo approccio sorprende sempre i nostri clienti, siano esse aziende o coachee privati, fino al punto di chiederci spesso “ma non ci dite mai di pensare positivo?“. Ovviamente la nostra risposta è che è importante utilizzare i vari pensieri, qualsiasi sia la sua forma, sapendo che il problema non è tanto se è positivo o negativo, ma se è una zavorra o una piuma, e che per loro natura, l’una e l’altra non rappresentano nulla di negativo o di positivo.
Se il nostro obiettivo è fermarci e riposare, la piuma che aleggia con il minimo flusso di corrente diventa un ostacolo e la zavorra diventa una risorsa. Ma se, invece, il nostro obiettivo è librare verso nuovi orizzonti, la zavorra sarà un ostacolo e la piuma sarà una risorsa.
Il pensiero strategico, per sua natura non ragiona in termini di opposti, ma li contiene in sé, sfruttandoli entrambi in base all’obiettivo, alla situazione e al momento. Li unisce per rendere il totale superiore alla somma delle parti e creare così un insieme che non esclude nulla ma che, contenendo tutto, offre più opzioni comportamentali.
Per questo noi non pensiamo positivo e non pensiamo negativo, ma amiamo pensare strategico anche nei nostri servizi di formazione ai genitori, ali insegnanti, nei percorsi di life coaching , negli interventi aziendali; non trasferiamo il moderno pensiero positivo, ma l’antico e immortale pensiero strategico.
“L’essenza della strategia è scegliere cosa non fare.”Michael E. Porter
Comments